martedì 18 dicembre 2012

Pinuccio Marrone, il collega gentiluomo

In un mondo di arroganti, frettolosi e beceri, circondati dai caporali (quelli di cui parlava Totò) con le stellette da generali, uno come Pinuccio Marrone risultava completamente fuori posto. Era da oltre un trentennio a capo di un ufficio stampa, quello del comune di Bari, che avrebbe cambiato pelle più volte lungo questi tre decenni, seguendo le mutazioni di una legge che aveva trasformato i palazzi del potere in case di vetro, o almeno così era nelle intenzioni dei legislatori.
Ma lui non era mai cambiato, non aveva mai abbandonato la sua cortesia, la sua educazione, il rispetto innanzitutto per l'Istituzione che comunicava e poi per i colleghi, grandi o piccoli, giovani o esperti, uomini e donne, che si alternavano fra le sale e i corridoi di Palazzo di Città, sempre a caccia di notizie, dritte, voci e anche gossip, quando era il caso.
Noi lo vogliamo ricordare in una particolare circostanza, quell'inizio di agosto del 1991 quando a Bari sbarcarono circa 20 mila cittadini albanesi in cerca di fortuna e accoglienza. Nell'ora difficilissima e intricata, con un Ministro degli Interni a dir poco confuso (Scotti) e un presidente della Repubblica indegno (Cossiga), si consumò un dramma collettivo, politico ed esistenziale: quello di Enrico Dalfino, altro gentiluomo d'altri tempi e d'altre tempre, insultato e vilipeso da un ex professore fallito di diritto regionale che aveva unico merito politico quello d'essere cugino di un grande suo conterraneo, Enrico Berlinguer.
Pinuccio fu sempre accanto a Dalfino, e non solo per dovere professionale. Nelle ore concitate in cui bisognava comunque dare delle risposte a chi chiedeva come sarebbe stata risolta quella situazione abnorme, con migliaia di esseri umani chiusi come bestie nello stadio della vittoria, mMrrone non solo non perdette mai la calma, ma seppe trasmettere tutta l'indignazione di una comunità che per una volta si trovò unita attorno al suo Sindaco ingiustamente offeso da un ignorante protervo che per puro caso si trovava ad essere Capo dello Stato. La sua indignazione fu fremente e quasi invincibile, anche se il dovere lo richiamava continuamente alla moderazione.
Ora che non lo troveremo più, sempre discreto e cortese, fra sale e corridoi, siamo sicuri che tutti faremo molta fatica a non cercarlo, quasi per istinto, per sapere da lui, al di là del comunicato o della "versione ufficiale" l'aria e il clima, il senso e il tempo, di tanti pezzi della vita amminstrativa del Comune di Bari.
E lo ringraziamo per la pazienza e il rispetto con cui ci ha sempre trattati, novellini o scafati che fossimo.

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