martedì 4 settembre 2012

La nave dolce, i torti e le ragioni di una polemica

C’è “una distanza inseparabile”, per dirla con Camillo Pennati, fra l’ovazione veneziana che ha accolto “La nave dolce”, il docufilm realizzato da Daniele Vicari sulla vicenda della Vlora, l’imbarcazione carica di migliaia di albanesi che nell’agosto del 1991 giunse a Bari, e i veleni di cui lo si è voluto caricare. Ne parlo, pur essendo componente del Consiglio di Amministrazione dell’Apulia Film Commission, coproduttrice del film, perché tutti gli atti relativi sono stati adottati in un’epoca antecedente al mio ingresso nell’organismo. Lo dico –sia chiaro- con rammarico e non con sollievo, perché credo che si tratti di una delle operazioni di maggior spessore realizzate in Puglia, della quale i miei predecessori, con in testa Oscar Iarussi (che ha finora serbato –certo per discrezione- un silenzio di cui non riesco a fare a meno di stupirmi), possono andar fieri. 
Il clima irrespirabile che su questa testata ha denunciato Fortunata dell’Orzo [link] (si è addirittura insinuato che la sua partecipazione al film nel ruolo di se stessa abbia tacitato o “comprato” un’inusuale indulgenza da parte sua) è creato, a mio parere, da un cocktail micidiale di malevola pitoccheria, di faide cortigiane, di palese e spero temporaneo ottundimento della capacità di analisi di alcune menti brillanti. 
Non essendo mai stato vendoliano faccio un po’ fatica a districarmi nei labirinti e nei pantani che accompagnano il vendolismo (del tutto seriali rispetto ai consimili luoghi del berlusconismo e del dalemismo); non essendo barese mi sfuggono probabilmente biografie e intersezioni della mappa del potere culturale. Tuttavia riconosco una sciocchezza quando la vedo: e le querimonie sulla Nave dolce su una ragguardevole mole di sciocchezze mi appaiono costruite. 
Si prenda il conflitto di interessi, tema serio e dirimente delle società complesse: il professor Onofrio Romano ne costruisce una mostruosa “versione retroattiva”, in base alla quale la sceneggiatrice de “La nave dolce”, Antonella Gaeta, si sarebbe trovata in fallo nel momento in cui è stata nominata, dopo le impreviste ed imprevedibili dimissioni di Iarussi, presidente di Apulia Film Commission. L’incarico di sceneggiatore non è stato conferito a Gaeta da Afc, né come presidente di Afc Gaeta ha adottato alcun atto di finanziamento della Nave dolce, ma all’occhiuta vigilanza dei Torquemada alle cime di rapa ciò non basta. Il professore anzi scrive che questo vulnus immaginario avrebbe dovuto essere “sanato”, anche se non è chiara la possibile sanatoria. 
Gli Azzeccagarburgli di circostanza suggeriscono sottovoce che Gaeta avrebbe dovuto “ritirare la firma” dalla pellicola. Per comprendere l’assurdità di una tale prospettiva, poniamo l’esempio di un pittore di fama che abbia venduto alcune sue tele ad una Pinacoteca pubblica, e che successivamente sia chiamato a presiedere l’organismo che questa pinacoteca amministra: according to Romano, dovrebbe togliere le proprie tele dagli spazi espositivi per riporle in qualche buio scantinato ovvero, con adeguati interventi di scolorina, rimuoverne la sua firma. Sono questi tristi paradossi la naturale conseguenza del far degradare il conflitto di interessi a slancio mistico o insulsaggine grillina. Vi è poi la questione del turpe intrigo di cui sarebbe stato vittima il filmaker barese Angelo Amoroso d’Aragona, il cui progetto di documentario “Lo stadio della Vittoria”, che aveva come oggetto la stessa vicenda, sarebbe stato boicottato (al punto che, come scrive Massimo Scagliarini nell’impresentabile articolo della “Gazzetta” [link], se ne sarebbero “perse le tracce”) per le proprie fosche mire da Silvio Maselli e Gigi De Luca (il film viene da una idea condivisa fra loro due e il produttore albanese Ilir Butka, idea per la quale –poveracci!- non hanno preso il becco di un quattrino, né mai lo prenderanno). Come i due gaglioffi hanno condotto il loro tristo proposito? 
Istruendo l’uno e approvando con altri il secondo la pratica di finanziamento del documentario di d’Aragona! Non sono un cineasta, ma, in caso, mi auguro di imbattermi sempre in sabotatori di tal fatta. Come che sia, “Lo stadio della Vittoria”, malgrado l’impegno del suo autore, non ha potuto essere realizzato, perché non è riuscito a convincere altri investitori pubblici e privati. Apulia avrebbe potuto produrre in proprio “Lo stadio della Vittoria” anziché “La nave dolce”, scegliere d’Aragona anziché Vicari? Certo. Avrebbe dovuto? Ne dubito assai. Non solo perché il nome di d’Aragona sarebbe stato forse meno appetibile di quello di Vicari per i coproduttori (Indigo Film, Rai Cinema e l’albanese Skan-dal), e perché forse si deve anche al credito di cui gode Vicari se “La nave dolce” verrà distribuito (in sala!) da Microcinema. 
Anche e soprattutto perché –e qui viene la parte conclusiva e cruciale di questo troppo lungo ragionamento- Apulia Film Commission non è la struttura burocratica con cui la Regione Puglia eroga servizi di vario genere all’industria cinematografica, ma uno strumento partecipato di attuazione della sua politica culturale. Una politica culturale che, ferma restando la sua ovvia discutibilità, rappresenta un punto decisivo delle attività del Governo Vendola, una modalità che ha cambiato in modo irreversibile la percezione della Regione in questo settore. 
È per uno strumento di questa ambizione che è valsa la pena scomodare intellettuali di vaglia come De Luca, Gaeta, Iarussi e Maselli (in rigoroso ordine alfabetico), per tacere delle validissime professionalità interne alla Fondazione. Non per una sorta di mini-ministero a cui strappare qualche lacerto di contribuzione, ma per una struttura complessa, che favorisce e stimola talenti e visioni, che “vende” la Puglia e le sue storie a produttori, ma anche a sceneggiatori in erba o collaudati, a registi e narratori, agli stessi pugliesi (per il tramite del circuito “d’Autore”). 
Una struttura che sceglie, che azzarda, che osa. Arte difficile in tempi di viltà, mi rendo conto. Ma separiamo, per favore, il terreno delle opinioni contendibili, delle legittime e benefiche critiche, delle doverose richieste di trasparenza (quella di Afc supera i gusti esigenti dell’Unione Europea, per esempio), dalle deduzioni senza premesse, dalle insinuazioni viscide, dalle follie dissennate. Non pretendo di gareggiare in dottrina e in acume con il professor Romano; ma egli dice che, se oggi consentiamo che un film nato in qualche modo da un’idea di esponenti dell’Afc sia prodotto dalla Fondazione medesima, domani un altro direttore o un altro amministratore potrebbero ideare e produrre un cinepanettone in sedicesimo a Trepuzzi senza che gli si possa imputare alcunché. Ecco, l’idea che la trincea del giudizio critico sia dannata ad occuparsi dei profili di correttezza formale di un’attività anziché dei suoi esiti mi pare un po’ raggelante; e che faccia intravvedere, in filigrana alla sussiegosa rampogna, il più becero dei qualunquismi. 
Perché –vedete- Vicari per “La nave dolce” ha scelto di acquisire la testimonianza di Fortunata Dell’Orzo, fra le decine di giornalisti che seguirono lo sbarco della Vlora, perché lei ne costruì il racconto (e lo “visse”) in maniera del tutto peculiare rispetto ai nostri colleghi. Una testimonianza diversa sarebbe stata illegittima? Naturalmente no. Ma narrare significa scegliere. Ed anche amministrare.

5 commenti:

  1. "Ne parlo, pur essendo componente del Consiglio di Amministrazione dell’Apulia Film Commission..."
    Ecco appunto, come chiedere all'oste se il vino e' buono...

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  2. "Ecco, l’idea che la trincea del giudizio critico sia dannata ad occuparsi dei profili di correttezza formale di un’attività anziché dei suoi esiti mi pare un po’ raggelante; e che faccia intravvedere, in filigrana alla sussiegosa rampogna, il più becero dei qualunquismi."
    Quello che dovrebbe far raggelare e' che un dirigente ed amministratore PUBBLICO, dipendente di une ente PUBBLICO, pagato con soldi PUBBLICI, quale e' Enrico Ciccarelli, si senta a suo "agio" nel fare simili affermazioni.
    Un dirigente PUBBLICO che, dopo aver fondalmentalmente costruito la sua veemente critica su insulti ("...un cocktail micidiale di malevola pitoccheria, di faide cortigiane, di palese e spero temporaneo ottundimento della capacità di analisi di alcune menti brillanti."), cerca di spostare il ragionamento su cose che con le polemiche di questi giorni non c'entrano un fico secco: il film e' bello, i dirigenti di AFC sono bravi, e in Puglia i treni arrivavano in orario (consentitemi un po' di satira).
    In verita', il dirigente di cui sopra soffre di qualcosa di ben piu' grave che l'ottundimento. Ed e' la preoccupante ignoranza di chi non solo non sa la differenza basilare tra interesse PUBBLICO ed interesse PRIVATO, ma si ostina a non capire la responsabilita' insita nel potere, nell'amministrare la cosa PUBBLICA.
    Sappiamo bene quanto la democrazia sia malata. Mi rattrista vedere che persone di alto profilo politico e amministrativo, come la Godelli prima ed Enrico Ciccarelli adesso, dimostrino quanto l'egemonia culturale che sta dietro a questa crisi sia davvero dura da combattere. E' una battaglia prima di tutto politica. Ma la politica sembra la grande assente in tutta questa polemica e discussione.

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  3. Non solo la politica, egregio anonimo: anche la banale conoscenza dei fatti e delle persone. Infatti non sono né un dirigente, né tantomeno un dipendente pubblico. Sono un amministratore pubblico (non retribuito in alcun modo, non sarà ozioso precisare) e avverto pienamente la responsabilità di prendere decisioni che mettono in gioco i soldi di tutti. Mi aiutano in questo non solo l'ossequio alle leggi e all'etica della responsabilità, ma procedure trasparenti e predeterminate, statuti, regolamenti e bandi. Come spiegavo in premessa, non ho purtroppo il merito di avere partecipato in alcun modo alla vicenda della Nave dolce, perché essa è nata ed ha avuto il suo iter amministrativo prima del mio ingresso in Cda. Detto ciò, trovo piuttosto singolare l'idea che nella valutazione dell'operato di un Ente pubblico i risultati siano un argomento inconferente e che il nodo cruciale sia l'ossequio a "princìpi" che si pretende di variare a proprio comodo. Riassumo: un "conflitto di interessi retroattivo" è una mostruosità concettuale e giuridica, e la chiamata in causa di Antonella Gaeta a questo proposito è risibile; Maselli e De Luca non hanno favorito alcun loro interesse privato contribuendo anche in fase ideativa ad un film che la Afc ha coprodotto ed era perfettamente legittimata a coprodurre; è totalmente campata per aria l'idea che per un ruolo che richiede soprattutto una buona dose di esperienza sia obbligatorio richiedere un diploma di laurea (il cui possesso, ovviamente, non era ragione di esclusione). A proposito, la "crisi" di cui lei parla è frutto esclusivo di una non molto innocente bolla mediatica: mi pare che Apulia Film Commission, avendo sostenuto un film in concorso a Venezia (posso sbagliare, ma mi pare sia la prima volta) ed avendo (anche qui per la prima volta) coprodotto un docufilm come quello di Vicari, accolto con entusiasmo da pubblico e critica, sia in un momento estremamente positivo della sua attività. Questo non toglie legittimità alcuna alla sua posizione di dissenso e di aspra critica, tanto meno alla necessità, che invoca, di una battaglia politica contro una "egemonia culturale" di cui mi sfuggono i tratti (contrariamente alla sua gentile valutazione, non sono affatto una persona di alto profilo politico e amministrativo). Non comprendo perché lei rinunci al piacere di farla firmandosi con il suo nome e cognome, ma è una scelta sua. L'importante è che, al di là di tonitruanti slogan e invettive da mozzaorecchi, si provi a definire un ordine del giorno, un punto di consistenza della discussione. Si vuole che Apulia Film Commission non sia un player produttivo, in modo da non fare quelle che Amoroso d'Aragona considera "turbative di mercato"? È un'opinione legittima, basta cambiare lo statuto. Si vuole che i dirigenti e i responsabili di Apulia Film Commission siano persone del tutto avulse dal mondo del cinema, in modo che non abbiano né l'ambizione né la capacità di suggerire idee filmiche o di averle (mostruosa colpa!) sceneggiate? Si vuole contestare il metodo fiduciario (che ha indubbiamente qualche pericolosa rima con arbitrario) con cui la Regione nomina il presidente e il direttore di Afc? Va benissimo. Ma questo ha a che vedere con la dietrologia militante, con la notte hegeliana nella quale La nave dolce e Natale a Trepuzzi sono uguali, con le insinuazioni indimostrate? Personalmente non credo.

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  4. salve! io faccio la tesina sull' esodo degli albanesi in Italia negli anno '90. sapreste aiutarmi a collegare l'argomento con le varie materie?

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    1. ti consiglio di contattare l'autrice di questo articolo, è molto disponibile e sicuramente può esserti di aiuto per la tua tesina. Se vuoi mandami una mail a mastrangelo.roberto@gmail.com (sono il coordinatore redazionale di Puglia d'oggi) e, in privato, ti posso girare tutti i contatti del caso. A presto.

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