Il 3 novembre 1957, in una brumosa città del Nord, un "terrone" di grande intelligenza e coraggio terminava la sua avventura terrena ed entrava definitivamente nella Storia. La sua vicenda era stata importante per tutti gli italiani, non solo per i contadini senza terra e senza scuola del Sud, della Puglia di un tempo, di quella Daunia assolata e affocata.
Aveva frequentato a malapena le scuole elementari e quando ascoltava qualche parola strana, difficile, di quelle che un bracciante mai avrebbe potuto nemmeno pensare, se la segnava su un quadernuccio sdrucito, in attesa di potersi permettere un dizionario e svelarne finalmente il significato.
Era nato a Cerignola (FG) nel 1892, di agosto. I genitori erano due braccianti senza storia, di quelli che poi Matteo Salvatore avrebbe cantato per tutta la vita. Archeologia, grazie a Dio. C'è chi nasce con il carisma della scrittura, chisi fa prete, chi diventa medico. Lui a dodici anni già si batteva per i diritti minimi di questo popolo sperduto e muto.
Che poi la sua parabola politica, dopo la guerra di Spagna e la clandestinità durante il fascismo, finisse con il Partito Comunista Italiano, era quasi obbligatorio. Come sembra addirittura naturale, oggi, che scatenò un duro conflitto con l'onnipotente e filosovietico segretario del PCI Palmiro Togliatti, proprio in seguito all'invasione dell'Ungheria, che l'URSS perpetrò nel 1956, con un bagno di sangue indegno di una storia a difesa dei poveri e derelitti.
Guidò la CGIL fino alla morte, per infarto. Oggi il suo ricordo non è affatto sbiadito, non solo nella sua Cerignola, prima rossa e poi "nera", ma nell'Italia che ha fame di pulizia e onestà. Ecco cosa scrisse un giorno Di Vittorio a chi gli aveva fatto recapitare, sotto Natale, un pacco pieno di ogni leccornia: ma era un mittente da cui Peppino mai avrebbe potuto accettare nulla, nemmeno una briciola di pane. Era il 24 dicembre 1920.
Egregio Sig. Preziuso.
In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po’ di ben di Dio che mi ha mandato. Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si e’ certamente ispirato.
Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perche’ – in gran parte – e’ fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente – come il nostro – ghiotto di pettegolezzi piu’ o meno piccanti.
Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onesta’ ma per la mia situazione politica non basta l’intima coscienza della propria onesta’. E’ necessaria – e Lei lo intende – anche l’onesta’ esteriore.
Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d’una cortesia – sia pure nobilissima come quella in parola – si ricamerebbe chi sa che cosa. Si che, io, a preventiva tutela della mia dignita’ politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi e’ di pieno gradimento.
Vorrei spiegarmi piu’ lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non e’, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato gia’ chiaro. Il resto s’intuisce. Percio’ La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati. Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora.
Dev.mo
Giuseppe Di Vittorio
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