martedì 9 ottobre 2012

Giornalismo, le scuole di formazione per disoccupati


Praticamente un corso di formazione per disoccupati. 
Non vogliamo creare allarmismo in tutti quei ragazzi che, con coscienza e volontà, decidono ogni giorno di voler cercare la propria strada professionale nel mondo complicato del giornalismo. Ma vogliamo metterli in guardia. 
Una cosa sono gli anchor-man televisivi, personaggi siliconati e fotocopia di se stessi, ben altro è il lavoro di tutti i giorni, fatto con l’obiettivo di dare dignità ad una professione spesso denigrata (e non sempre a torto) e guadagnare il giusto per poter vivere decentemente. 
Ogni anno sfornati freschi freschi dalle facoltà di Scienze della Comunicazione e dalle Scuole di Giornalismo arrivano sul mercato mille nuovi giornalisti, di questi non più di 100, 120 trovano lavoro, spesso precario o temporaneo.  Tecnicamente preparatissimi, senza alcun ombra di dubbio. Ma basta la tecnica per fare di un giovane un giornalista? O non serve anche esperienza (e tanta), e quegli anni di gavetta passati saltando da un argomento all'altro, da una conferenza stampa all'altra, per capire e carpire le basi e le fondamenta di questa professione?
Ora con la crisi che peggiora, cinque testate chiuse negli ultimi mesi, oltre 200 giornalisti in cassa integrazione, i problemi legati all'accesso alla professione si fanno sempre più pressanti. 
Il tema è stato al centro dell'incontro 'Giornalista, un mestiere in un mercato senza merito?', organizzato per i venti anni della Scuola di giornalismo di Perugia e aperto con un messaggio di saluto del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. 
Direttori, editori, manager e sindacato si sono confrontati sull'argomento, scontrandosi sull'opportunità o meno di eliminare il praticantato e consentire l'accesso solo attraverso le scuole. Un'idea lanciata dal direttore di Rai Parlamento, Gianni Scipione Rossi, sostenuta dal presidente della Fnsi, Roberto Natale, anche per limitare gli ingressi, ma contestata dal direttore de Il Tempo, Mario Sechi, secondo il quale «è un'ipotesi illiberale, che esclude i talenti irregolari». Anche il dg della Rai, Luigi Gubitosi, pur sottolineando la centralità per la tv pubblica della Scuola di Perugia, ha poi precisato che «la frequentazione della scuola non può essere un vincolo». 
Ma può bastare una scuola, o una università, per essere pronti ad una professione così complicata e dal grande impatto, comunque la si voglia pensare, sociale? 
Un tema caro alle decine di giovani presenti al convegno, che oltre alle tradizionali difficoltà di ingresso in un settore da sempre legato al potere, devono ora fare i conti con una crisi che chiude ancor più le porte. «Non è vero che non esiste merito in assoluto - ha detto il presidente Fieg, Giulio Anselmi -. Io ho assunto una quantità di persone per merito, il problema dell'Italia è però il capitalismo relazionale che si ripercuote su tutto. 
Occorre reinventare la professione, puntare sulla qualità. Per questo nella Fieg è nata la commissione per la formazione, per lavorare insieme al sindacato». «Noi abbiamo 400 giornalisti, tanti giovani e appassionati - ha affermato l'ad di Sky Italia, Andrea Zappia -. Non solo gli editori, ma anche i giornalisti devono avere la voglia di mettersi in gioco». Nel mirino è finito il sindacato. «Quando si difendono tutti allo stesso modo - ha detto Gubitosi -, ciò non aiuta la meritocrazia»,. «I modelli che ci sono ora non reggono più - ha affermato il direttore dell'ANSA, Luigi Contu -. 
Devono avere coraggio gli editori e dobbiamo avere coraggio noi nell'aprire le redazioni. Serve una flessibilità più ampia che in passato». Contu ha quindi invitato all'ottimismo, sostenendo che «il mestiere ha ancora senso, ha un futuro», proprio come Giovanni Floris, secondo il quale «i sistemi quando traballano creano varchi e questo è un momento d'oro per gli outsider». Meno ottimismo è trapelato dalle parole di Natale, che ha ricordato «l'esercito dei collaboratori pagati pochi euro a pezzo», sostenendo la necessità della legge sull'equo compenso, e spinto per l'approvazione della legge sull'editoria, in discussione in Parlamento. 
Il direttore di Radio Uno, Antonio Preziosi, ha sottolineato che «dietro la tecnologia ci sono persone», che «l'umanità deve caratterizzare il nostro lavoro». Per il vicedirettore de Il Corriere della Sera, Antonio Macaluso, «bisogna fare autocritica, i giornali sono troppo vecchi. Il problema è trovare il modo di fare entrare i giovani». 
Tutte belle parole, sicuramente. Il problema resta, però, anche quello di non mantenere in piedi carrozzoni che, nei fatti, sfornano disoccupati con poche concrete speranze. A cosa servono?

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