venerdì 21 settembre 2012

L'Amiu-Amica, Elisabetta la Grande e il mantra dei livelli occupazionali

L'impressione è che sindacati e lavoratori dell'Amica di Foggia si siano cacciati in un budello senza uscita, nella difficile trattativa con l'Amiu di Bari. 
Spero ne escano, ma nel contempo sono piuttosto stomacato dal registrare la foga con cui l'opinione pubblica, anche quella di orientamento progressista, predica l'appiattimento sul pensiero unico padronale, lo zelo con cui stigmatizza e crocifigge la "pretesa" dei lavoratori di Amica di non vedersi dimezzare lo stipendio a parità di lavoro e di preferire il lavoro d'ufficio allo spazzamento delle strade. Proprio come tutti sono pronti ad appoggiare i tagli e le spending review che colpiscano gli sprechi altrui, nel mondo del lavoro la conflittualità è diventata reato, chiunque deve sentirsi un miracolato per il semplice fatto di avere un lavoro, e deve accettare senza esitare ogni tipo di condizione (come nella Poor Law della Regina Elisabetta la Grande) la controparte aziendale voglia imporgli. Certo, l'Amiu ha il coltello dalla parte del manico: non ha chiesto lei di occuparsi della drammatica situazione della raccolta rifiuti, ed è comprensibile che non voglia spendere più di quanto è previsto incassi dal Comune (sulla cui pratica solvibilità circolano numerosi e fondati dubbi). 
Soprattutto, l'Amiu ha dalla sua il mantra preferito delle residue trincee del welfare: il "mantenimento dei livelli occupazionali". Perché, sinceramente, non credo proprio che un netturbino barese abbia uno stipendio di novecento euro mensili in busta paga, né mi risulta che a Bari lo spazzamento delle strade sia più faticoso ed improbo di quello di Foggia. Il differenziale a svantaggio dei lavoratori ex-Amica ed ex-Daunia Ambiente è quindi (devo ritenere) determinato dal più banale dei dati di fatto: i lavoratori Amica sono troppi. Sappiamo tutti il perché: le ex-municipalizzate sono state utilizzate dal centrodestra e dal centrosinistra come serbatoio clientelare, l'Amica ha dovuto far fronte ad una espansione geometrica della città che ne ha moltiplicato la superficie abitata, la tradizionale nettezza urbana è diventata affare complesso, con compiti nuovi che richiedevano professionalità più mature, c'è stato un colpevole ritardo del management e della politica nell'applicare innovazioni come la raccolta porta a porta, che erano e sono inderogabili... 
Come che sia, l'evidenza statistica dice che il totem del "mantenimento dei livelli occupazionali" mette l'Amiu (e chiunque) nell'obbligo di immiserire la totalità dei dipendenti, azionando una macchina del tempo che li riporti dal punto di vista salariale e normativo ad un'epoca ormai remota. Perché è sacrosanto il principio che il servizio non possa essere garantito con un costo del personale vicino all'80%. Ammettiamo che i lavoratori bevano il calice amaro e accettino le condizioni-capestro: quanto durerebbe? Quale efficienza e qualità di servizio sarebbe garantita da maestranze insoddisfatte e sottopagate? Siamo certi che sia un buon affare? La foglia di fico di avere "evitato i licenziamenti" (solo dei garantiti, però: perché i lavoratori dell'indotto e delle cooperative verranno pacificamente lasciati affondare) basta a coprire la vergogna del completamento della distruzione di un patrimonio aziendale? Secondo me invece qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire che i livelli occupazionali non possono essere mantenuti, che si deve attivare ogni possibile ammortizzatore sociale (certo, i prepensionamenti nell'era Fornero rischiano di essere poco praticabili, ma insomma...) e poi procedere alla riduzione degli organici secondo regole e precetti dei licenziamenti collettivi: regole che naturalmente penalizzeranno qualcuno e premieranno altri, ma almeno sono regole. 
A Foggia non serve una pletora di lavoratori sottopagati, che renderebbero permanente quella condizione di inefficienza e di arrogante sinecura che è episodicamente affiorata: servono lavoratori pagati dignitosamente e irreprensibili nello svolgimento delle loro mansioni, che non si sentano deresponsabilizzati da una sanatoria assistita ed iniqua, ma al contrario gravati di oneri per avere conservato un posto che altri hanno perduto. La strada che si sta seguendo, quale che sia il nobile nome con cui la si vuol chiamare, è quella della perpetuazione della clientela; quella, ben più dura, del ridisegno degli organici, è quella del possibile risanamento futuro. Sarebbe il caso di pensarci.

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