Il
dato elettorale pugliese non è di facilissima lettura, come è sempre per le
amministrative del Mezzogiorno. Al Sud più che altrove, infatti, si assiste al
fenomeno per cui spesso non sono i partiti a ispirare liste civiche, ma
aggregazioni civiche a prendere in prestito simboli di partiti per competere.
Evitando di voler dipanare l’aggrovigliata matassa dei centri al di sotto dei
quindicimila abitanti, qualche riflessione può farsi sul voto delle città
maggiori.
Innanzitutto la regola è quella del ballottaggio: un esito che può
essere collegato sia ad una notevole frammentarietà del voto, con un gran
numero di liste e di candidati (anche gonfiato artificiosamente dalla
possibilità per molti candidati sindaci di entrare in Consiglio), sia ad una
mobilità elettorale che si è fatta molto intensa. Anche il dato dell’affluenza,
in calo ma non inabissata, conferma che il diffuso malumore per la politica non
comporta disaffezione, quanto piuttosto difficoltà di rappresentanza.
Gli
interessi leciti (ed anche quelli illeciti, visto il clamoroso caso del
candidato sindaco di Apricena arrestato prima del voto come killer in pectore)
diffidano in misura crescente della capacità di mediazione della politica e
scendono in campo direttamente. Malgrado il brillante risultato di Lecce, di
cui si dirà più oltre, il centrodestra imperniato sul Pdl va maluccio: si perde
al primo turno Brindisi, si va incontro ad una probabile sconfitta a Martina
Franca, non si arriva nemmeno al ballottaggio a Taranto. Anche la probabile
vittoria di Di Bari a Fasano, Riserbato a Trani e di Caporale a Canosa non
possono essere considerati successi, essendo questi centri delle tradizionali
roccaforti del centrodestra.
Quanto a Torremaggiore, l’unico centro del
foggiano sopra i quindicimila abitanti interessato al voto, il Pdl completa il
disastro del 2009 (quando la sua strapotente maggioranza non riuscì a far
eleggere il candidato sindaco “sbagliato”) uscendo dai giochi al primo turno a
vantaggio del futurista Monteleone. Il Partito Democratico può dirsi mediamente
soddisfatto del risultato del “laboratorio politico” (peraltro variamente
articolato e maculato) dell’alleanza sinistra-centro nel Salento, che ha il suo
miglior risultato a Brindisi: si pensava che D’Attis avrebbe costretto il
giornalista brindisino Mimmo Consales al secondo turno, anche in virtù della
locale secessione dell’Italia dei Valori e della Puglia per Vendola.
Così non è
stato, malgrado il brillante risultato della locale lista di Futuro e Libertà,
schierata con il centrodestra tradizionale. È un’alternanza che fa la
differenza e che non ha alcun risultato di segno contrario (fa impressione sul
piano simbolico la vittoria del centrodestra ad Apricena, l’ex-Stalingrado del
Sud; ma sul piano numerico è poca cosa). Un discorso a parte merita Vendola: il
presidente della Regione non esce bene da questa consultazione. Il suo pupillo
Ippazio Stefàno va al ballottaggio a Taranto, sia pure per mera formalità, a
causa della jacquerie ambientalista di Bonelli. Sinistra, Ecologia e Libertà si
conferma partito tanto chiassoso quanto inconsistente e lacerato, palesando
un’imbarazzante mancanza di radicamento territoriale. Ma forse a bruciare più
di ogni altra cosa è l’esito infelicissimo della candidatura di Loredana Capone
a Lecce.
Non si tratta solo di aver perso, esito che era ragionevolmente
prevedibile, ma di aver portato il centrosinistra leccese al suo minimo
storico, con un personale score della candidata sindaco obiettivamente
deludente. In altri luoghi si potrebbe legare questo risultato ad una
discriminante di genere, ma non nella Lecce che ha avuto in Adriana Poli
Bortone uno dei primi cittadini più stimati ed amati. La bocciatura della
vicepresidente è ragionevolmente anche un indice di malcontento per l’azione
del governo regionale.
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